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Pandemic fatigue: la seconda ondata

Pandemic fatigue

In questi giorni sul mio profilo Instagram ho aperto un sondaggio in cui ho chiesto agli utenti se faticassero a rimanere concentrati e a portare a termine i propri obiettivi.

Circa il 60% dei partecipanti ha risposto affermativamente e questo dato è in linea con quelli riportati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla fatica psicologica della seconda ondata.

Ovviamente la domanda che ho posto era parziale: la difficoltà di concentrazione è solo una parte di quella che l’OMS definisce Pandemic fatigue: la sensazione di sfinimento e stanchezza collegata a questa seconda ondata di Covid-19.

Lo stato prolungato di crisi in cui ci troviamo, l’assenza di tempistiche che ne definiscano il termine e le continue limitazioni che stiamo vivendo portano a un sovraccarico emotivo più che comprensibile.

Cosa è cambiato rispetto alla prima ondata?

La paura del contagio che a marzo ci ha consentito di essere più attenti e responsabili, ora si è attenuata a causa dello stato prolungato di allarme. Questo può portare a un minor rispetto delle norme, a una diminuzione della fiducia nelle autorità e a un calo della ricerca di informazioni.

Allo stesso tempo prevalgono la preoccupazione legata alla propria situazione economica, alla durata dello stato di crisi e le difficoltà legate al lavoro. 

Per le persone che hanno dovuto chiudere la propria attività sembrano essere predominanti paura, rabbia e impotenza.

In coloro che possono lavorare sembrano invece prevalere fatica e difficoltà di concentrazione, spesso legati al predominio della vita professionale sul resto, limitato dalle restrizioni. 

La difficoltà di ricrearsi momenti di svago e non lasciarsi sopraffare dal lavoro influisce ovviamente sullo stato di benessere psicologico. Per questo è fondamentale cercare di mantenere orari e tempistiche definite per il proprio impiego.

Cosa fare?

La Pandemic fatigue è correlata a un senso di sconforto e a un incremento di ansia, insonnia e depressione nella popolazione. Come a marzo diventa quindi fondamentale cercare di mantenere routine, momenti di socialità e ricrearsi nuove abitudini e nuovi spazi per le proprie passioni (alcuni consigli qui.)

É inoltre importante cercare di essere il più possibile comprensivi con se stessi, accogliendo i momenti di difficoltà, riducendo il carico di stress e limitando il più possibile le incombenze quotidiane.

La società odierna, incentrata sulla performance e sulla produttività, sembra non consentire momenti di debolezza e di diminuzione della propria efficienza. Noi stessi spesso tendiamo a porci standard elevati a cui aderire e quando non vi riusciamo sconforto e angoscia prendono il sopravvento.

Cerchiamo allora di domandarci se gli obiettivi che ci poniamo sono autentici e ci faranno stare meglio o se sono imposti da un senso del dovere collettivo. Chiediamoci se è possibile eliminare alcuni impegni e se possiamo concederci più tempo per assolverli.

In un momento di avversità prolungata come quella attuale è normale sentirsi stanchi, demotivati e demoralizzati. Condividiamo i nostri stati d’animo con i nostri cari e chiediamo aiuto quando necessario, ricordandoci che:

Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio… Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato.” (Haruki Murakami – Kafka sulla spiaggia)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cosa fare con i propri cari

Cosa fare se amici o familiari stanno vivendo un forte momento di difficoltà psicologica?

Professionisti sanitari che soffrono di burn out (sindrome da stress lavorativo), difficoltà economiche, problemi di salute, limitazioni della propria quotidianità e riduzione della socialità possono provocare stress, ansia e malessere.

Un modo per mostrare vicinanza ai propri cari in difficoltà è l’ascolto attivo. Questa modalità di ascolto è caratterizzata da un elevato livello di attenzione mostrato attraverso mimica facciale e verbale, sguardo, gesti e feedback di supporto. Nella galleria alcuni consigli.

 

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Psicologia e Corpo

Come è cambiato il rapporto con il nostro corpo? Come sono cambiate e come cambieranno le relazioni senza il contatto?

Il Corpo nella quotidianità

In una condizione di quotidianità tendiamo a ignorare le normali attivazioni fisiologiche del nostro corpo. Vi prestiamo più attenzione quando c’è qualcosa di insolito: se ci sentiamo stanchi, se percepiamo un sintomo, se proviamo dolore.

Avvertire una sensazione anomala attiva, mette in allarme e porta ad analizzare ogni sensazione corporea.

Se riusciamo a dare significato alla nostra sofferenza fisica, per esempio attribuendo la spossatezza avvertita alla febbre, o lo starnuto all’allergia, lo stato di allerta diminuisce. Quando invece non riusciamo a dare un senso al sintomo esperito è possibile sviluppare un disturbo di ansia o ipocondriaco (per un approfondimento sull’ansia, clicca qui).

Iperfocalizzazione sul Corpo

Dall’inizio dell’allarme coronavirus, l’attenzione al proprio corpo e alle sue attivazioni fisiologiche è aumentata: a ognuno di noi potrà essere accaduto di monitorare la propria capacità respiratoria, di essere allarmato per uno starnuto, preoccupato per un colpo di tosse.

In alcuni momenti può essere più facile riposizionarsi attribuendo il sintomo a una casualità, in altri momenti la preoccupazione di aver contratto il covid può prendere il sopravvento.

La maggiore iperfocalizzazione sul proprio corpo, tipica di questo periodo, potrebbe quindi incrementare lo sviluppo di disturbi ansiosi, fobici o ipocondriaci e l’attuazione di comportamenti disfunzionali come il tentativo di prevedere o evitare le situazioni temute, in questo caso i contesti sociali e i contatti con l’Altro (per un approfondimento sulle conseguenze della quarantena, clicca qui).

Il Corpo dell’Altro

Riaffacciandosi alle relazioni possiamo notare come ci sia una forte ambivalenza tra il desiderio di riavvicinarsi e la paura del contagio (per noi o per l’Altro).

Già nei primi giorni di lockdown era evidente questo contrasto: incontrando uno sconosciuto con la mascherina veniva naturale fare un cenno di saluto e di solidarietà, ma contemporaneamente cambiare marciapiede.

Oggi assistiamo ancora di più a questa ambivalenza tra il desiderio di incontrarsi e la necessità di mantenere le distanze.

Questo dualismo è però tipico di ogni normale relazione dove quotidianamente la voglia di condivisione si alterna al desiderio di indipendenza e di mantenere i propri spazi. Apertura e chiusura definiscono da sempre il rapporto con l’Altro.

In questo momento è importante comprendere come la distanza non sia frutto dell’assenza di desiderio o del rifiuto dell’Altro ma sia attuata per proteggere e tutelare. In questo senso la lontananza accresce la qualità della relazione, perché tutela l’Altro.

Tratto dall’articolo di Maurizio Neri, Il Piccolo

 

Le mie riflessioni sono state pubblicate su Il Piccolo del 26/05/2020 in un articolo di Maurizio Neri.

 

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FASE 2: Quale sarà l’impatto psicologico della quarantena?

Quale sarà l’impatto psicologico della quarantena?

In questi giorni in molti si stanno interrogando su quale potrà essere l’impatto emotivo post quarantena. Ovviamente è difficile immaginare quali saranno i risvolti psicologici di questa pandemia, essendo una situazione completamente nuova.

Tuttavia nel febbraio 2020 è stato pubblicato un articolo in cui un gruppo di ricercatori ha raccolto e analizzato 24 studi che indagavano l’impatto psicologico delle passate quarantene (The psychological impact of quarantine and how to reduce it: rapid review of the evidence).

Lo scopo della raccolta è esaminare le principali misure restrittive adottate nei precedenti casi di patologie infettive (SARS, MERS, Ebola) e le conseguenti ripercussioni psicologiche.

Quali sono le conseguenze psicologiche della quarantena?

Dagli studi analizzati emerge come la quarantena possa favorire lo sviluppo di disturbi ansiosi, depressivi o da stress post-traumatico. 

Anche mesi dopo la conclusione dell’isolamento alcune persone riferiscono paura, tristezza, difficoltà del sonno, ansia, irritabilità, abuso di alcol o sostanze, comportamenti di evitamento o eccessiva igiene delle mani.

Nello specifico sembra che alcune persone tendano a evitare luoghi affollati o chiusi per molto tempo, sovrastimando la possibilità di contrarre il virus o di poter essere veicolo di contagio (fattore collegato allo sviluppo di sensi di colpa e sentimenti di paura).

Quali fattori influenzano l’impatto psicologico della quarantena?

Dallo studio emerge come la durata della quarantena sia un fattore rilevante per determinare le conseguenze psicologiche della quarantena. In particolare sembra che una durata maggiore a 10 giorni possa influire negativamente sulla salute mentale, favorendo l’insorgenza di sintomi da disturbo post-traumatico.

Ricevere insufficienti cure mediche o assistenziali e l’assenza di informazioni scientifiche chiare, sembra essere un forte elemento di stress e causa di sintomatologie ansiose e di rabbia, anche nei mesi successivi la quarantena.

Riferendoci all’attuale situazione, è facile immaginare come la difficoltà di essere sottoposti a tampone nonostante la presenza di sintomi, l’assenza di somministrazione del test per coloro che sono entrati in contatto con persone positive, le informazioni confuse su come agire in caso di vicinanza a pazienti Covid-19, le notizie contrastanti (su utilizzo di mascherine, evoluzione del virus, misure restrittive) che da mesi vengono diffuse, possano favorire l’insorgenza di ansia, rabbia e frustrazione.

Dagli studi emergono risultati contrastanti circa l’influenza dei fattori demografici, non è quindi possibile stabilire se l’età, il livello di istruzione o lo stato di famiglia siano rilevanti a livello psicologico.

Emerge come la presenza pregressa di disturbi psicologici porti a un’esperienza di maggiore ansia e rabbia nei mesi successivi la quarantena, e come essere un operatore sanitario aumenti il rischio di sintomatologie legate al disturbo da stress post-traumatico.

Anche l’incertezza finanziaria, la perdita economica durante il periodo di reclusione e i dubbi sulla successiva stabilità lavorativa sembrano significativamente correlati allo sviluppo di sofferenza psicologica.

Un fattore rilevante per la salute mentale sembra inoltre la tendenza a stigmatizzare le persone positive: una corretta informazione circa le modalità di contagio potrebbe essere la soluzione necessaria per evitare questa discriminazione.

Come mitigare l’impatto psicologico della quarantena?

Dagli studi analizzati emerge come sarebbe opportuno non solo far durare la quarantena il minor tempo possibile, ma anche garantire assistenza adeguata (medica, alimentare, economica) e fornire corrette informazioni circa trasmissibilità, svolgimento della quarantena, procedure di contenimento.

Oltre a mantenere i contatti sociali e ridurre il senso di noia e frustrazione con attività strutturate, come riferito in questo articolo, sembra fondamentale incrementare il senso di altruismo della popolazione. Sottolineare che gli sforzi effettuati contribuiscono al benessere e alla salute di tutti i cittadini, specialmente la categorie più deboli, favorisce non solo un senso di utilità ma anche una maggior adesione alle regole.

foto Il Corriere

Cosa pensi della Fase 2? Hai qualche preoccupazione sulle possibili implicazioni psicologiche? Fammi sapere la tua opinione!

 

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Bibliografia:

Brooks et al, The psychological impact of quarantine and how to reduce it: rapid review of the evidence,  Lancet, 2020

Dott.ssa Martina Acerbi Uscire dalla quarantena le lezioni delle precedenti epidemie

Dott. Alvaro Fornasari L’impatto psicologico della quarantena