Pandemic fatigue: la seconda ondata

Pandemic fatigue

In questi giorni sul mio profilo Instagram ho aperto un sondaggio in cui ho chiesto agli utenti se faticassero a rimanere concentrati e a portare a termine i propri obiettivi.

Circa il 60% dei partecipanti ha risposto affermativamente e questo dato è in linea con quelli riportati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla fatica psicologica della seconda ondata.

Ovviamente la domanda che ho posto era parziale: la difficoltà di concentrazione è solo una parte di quella che l’OMS definisce Pandemic fatigue: la sensazione di sfinimento e stanchezza collegata a questa seconda ondata di Covid-19.

Lo stato prolungato di crisi in cui ci troviamo, l’assenza di tempistiche che ne definiscano il termine e le continue limitazioni che stiamo vivendo portano a un sovraccarico emotivo più che comprensibile.

Cosa è cambiato rispetto alla prima ondata?

La paura del contagio che a marzo ci ha consentito di essere più attenti e responsabili, ora si è attenuata a causa dello stato prolungato di allarme. Questo può portare a un minor rispetto delle norme, a una diminuzione della fiducia nelle autorità e a un calo della ricerca di informazioni.

Allo stesso tempo prevalgono la preoccupazione legata alla propria situazione economica, alla durata dello stato di crisi e le difficoltà legate al lavoro. 

Per le persone che hanno dovuto chiudere la propria attività sembrano essere predominanti paura, rabbia e impotenza.

In coloro che possono lavorare sembrano invece prevalere fatica e difficoltà di concentrazione, spesso legati al predominio della vita professionale sul resto, limitato dalle restrizioni. 

La difficoltà di ricrearsi momenti di svago e non lasciarsi sopraffare dal lavoro influisce ovviamente sullo stato di benessere psicologico. Per questo è fondamentale cercare di mantenere orari e tempistiche definite per il proprio impiego.

Cosa fare?

La Pandemic fatigue è correlata a un senso di sconforto e a un incremento di ansia, insonnia e depressione nella popolazione. Come a marzo diventa quindi fondamentale cercare di mantenere routine, momenti di socialità e ricrearsi nuove abitudini e nuovi spazi per le proprie passioni (alcuni consigli qui.)

É inoltre importante cercare di essere il più possibile comprensivi con se stessi, accogliendo i momenti di difficoltà, riducendo il carico di stress e limitando il più possibile le incombenze quotidiane.

La società odierna, incentrata sulla performance e sulla produttività, sembra non consentire momenti di debolezza e di diminuzione della propria efficienza. Noi stessi spesso tendiamo a porci standard elevati a cui aderire e quando non vi riusciamo sconforto e angoscia prendono il sopravvento.

Cerchiamo allora di domandarci se gli obiettivi che ci poniamo sono autentici e ci faranno stare meglio o se sono imposti da un senso del dovere collettivo. Chiediamoci se è possibile eliminare alcuni impegni e se possiamo concederci più tempo per assolverli.

In un momento di avversità prolungata come quella attuale è normale sentirsi stanchi, demotivati e demoralizzati. Condividiamo i nostri stati d’animo con i nostri cari e chiediamo aiuto quando necessario, ricordandoci che:

Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio… Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato.” (Haruki Murakami – Kafka sulla spiaggia)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cosa fare con i propri cari

Cosa fare se amici o familiari stanno vivendo un forte momento di difficoltà psicologica?

Professionisti sanitari che soffrono di burn out (sindrome da stress lavorativo), difficoltà economiche, problemi di salute, limitazioni della propria quotidianità e riduzione della socialità possono provocare stress, ansia e malessere.

Un modo per mostrare vicinanza ai propri cari in difficoltà è l’ascolto attivo. Questa modalità di ascolto è caratterizzata da un elevato livello di attenzione mostrato attraverso mimica facciale e verbale, sguardo, gesti e feedback di supporto. Nella galleria alcuni consigli.

 

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Psicologia e Corpo

Come è cambiato il rapporto con il nostro corpo? Come sono cambiate e come cambieranno le relazioni senza il contatto?

Il Corpo nella quotidianità

In una condizione di quotidianità tendiamo a ignorare le normali attivazioni fisiologiche del nostro corpo. Vi prestiamo più attenzione quando c’è qualcosa di insolito: se ci sentiamo stanchi, se percepiamo un sintomo, se proviamo dolore.

Avvertire una sensazione anomala attiva, mette in allarme e porta ad analizzare ogni sensazione corporea.

Se riusciamo a dare significato alla nostra sofferenza fisica, per esempio attribuendo la spossatezza avvertita alla febbre, o lo starnuto all’allergia, lo stato di allerta diminuisce. Quando invece non riusciamo a dare un senso al sintomo esperito è possibile sviluppare un disturbo di ansia o ipocondriaco (per un approfondimento sull’ansia, clicca qui).

Iperfocalizzazione sul Corpo

Dall’inizio dell’allarme coronavirus, l’attenzione al proprio corpo e alle sue attivazioni fisiologiche è aumentata: a ognuno di noi potrà essere accaduto di monitorare la propria capacità respiratoria, di essere allarmato per uno starnuto, preoccupato per un colpo di tosse.

In alcuni momenti può essere più facile riposizionarsi attribuendo il sintomo a una casualità, in altri momenti la preoccupazione di aver contratto il covid può prendere il sopravvento.

La maggiore iperfocalizzazione sul proprio corpo, tipica di questo periodo, potrebbe quindi incrementare lo sviluppo di disturbi ansiosi, fobici o ipocondriaci e l’attuazione di comportamenti disfunzionali come il tentativo di prevedere o evitare le situazioni temute, in questo caso i contesti sociali e i contatti con l’Altro (per un approfondimento sulle conseguenze della quarantena, clicca qui).

Il Corpo dell’Altro

Riaffacciandosi alle relazioni possiamo notare come ci sia una forte ambivalenza tra il desiderio di riavvicinarsi e la paura del contagio (per noi o per l’Altro).

Già nei primi giorni di lockdown era evidente questo contrasto: incontrando uno sconosciuto con la mascherina veniva naturale fare un cenno di saluto e di solidarietà, ma contemporaneamente cambiare marciapiede.

Oggi assistiamo ancora di più a questa ambivalenza tra il desiderio di incontrarsi e la necessità di mantenere le distanze.

Questo dualismo è però tipico di ogni normale relazione dove quotidianamente la voglia di condivisione si alterna al desiderio di indipendenza e di mantenere i propri spazi. Apertura e chiusura definiscono da sempre il rapporto con l’Altro.

In questo momento è importante comprendere come la distanza non sia frutto dell’assenza di desiderio o del rifiuto dell’Altro ma sia attuata per proteggere e tutelare. In questo senso la lontananza accresce la qualità della relazione, perché tutela l’Altro.

Tratto dall’articolo di Maurizio Neri, Il Piccolo

 

Le mie riflessioni sono state pubblicate su Il Piccolo del 26/05/2020 in un articolo di Maurizio Neri.

 

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FASE 2: Quale sarà l’impatto psicologico della quarantena?

Quale sarà l’impatto psicologico della quarantena?

In questi giorni in molti si stanno interrogando su quale potrà essere l’impatto emotivo post quarantena. Ovviamente è difficile immaginare quali saranno i risvolti psicologici di questa pandemia, essendo una situazione completamente nuova.

Tuttavia nel febbraio 2020 è stato pubblicato un articolo in cui un gruppo di ricercatori ha raccolto e analizzato 24 studi che indagavano l’impatto psicologico delle passate quarantene (The psychological impact of quarantine and how to reduce it: rapid review of the evidence).

Lo scopo della raccolta è esaminare le principali misure restrittive adottate nei precedenti casi di patologie infettive (SARS, MERS, Ebola) e le conseguenti ripercussioni psicologiche.

Quali sono le conseguenze psicologiche della quarantena?

Dagli studi analizzati emerge come la quarantena possa favorire lo sviluppo di disturbi ansiosi, depressivi o da stress post-traumatico. 

Anche mesi dopo la conclusione dell’isolamento alcune persone riferiscono paura, tristezza, difficoltà del sonno, ansia, irritabilità, abuso di alcol o sostanze, comportamenti di evitamento o eccessiva igiene delle mani.

Nello specifico sembra che alcune persone tendano a evitare luoghi affollati o chiusi per molto tempo, sovrastimando la possibilità di contrarre il virus o di poter essere veicolo di contagio (fattore collegato allo sviluppo di sensi di colpa e sentimenti di paura).

Quali fattori influenzano l’impatto psicologico della quarantena?

Dallo studio emerge come la durata della quarantena sia un fattore rilevante per determinare le conseguenze psicologiche della quarantena. In particolare sembra che una durata maggiore a 10 giorni possa influire negativamente sulla salute mentale, favorendo l’insorgenza di sintomi da disturbo post-traumatico.

Ricevere insufficienti cure mediche o assistenziali e l’assenza di informazioni scientifiche chiare, sembra essere un forte elemento di stress e causa di sintomatologie ansiose e di rabbia, anche nei mesi successivi la quarantena.

Riferendoci all’attuale situazione, è facile immaginare come la difficoltà di essere sottoposti a tampone nonostante la presenza di sintomi, l’assenza di somministrazione del test per coloro che sono entrati in contatto con persone positive, le informazioni confuse su come agire in caso di vicinanza a pazienti Covid-19, le notizie contrastanti (su utilizzo di mascherine, evoluzione del virus, misure restrittive) che da mesi vengono diffuse, possano favorire l’insorgenza di ansia, rabbia e frustrazione.

Dagli studi emergono risultati contrastanti circa l’influenza dei fattori demografici, non è quindi possibile stabilire se l’età, il livello di istruzione o lo stato di famiglia siano rilevanti a livello psicologico.

Emerge come la presenza pregressa di disturbi psicologici porti a un’esperienza di maggiore ansia e rabbia nei mesi successivi la quarantena, e come essere un operatore sanitario aumenti il rischio di sintomatologie legate al disturbo da stress post-traumatico.

Anche l’incertezza finanziaria, la perdita economica durante il periodo di reclusione e i dubbi sulla successiva stabilità lavorativa sembrano significativamente correlati allo sviluppo di sofferenza psicologica.

Un fattore rilevante per la salute mentale sembra inoltre la tendenza a stigmatizzare le persone positive: una corretta informazione circa le modalità di contagio potrebbe essere la soluzione necessaria per evitare questa discriminazione.

Come mitigare l’impatto psicologico della quarantena?

Dagli studi analizzati emerge come sarebbe opportuno non solo far durare la quarantena il minor tempo possibile, ma anche garantire assistenza adeguata (medica, alimentare, economica) e fornire corrette informazioni circa trasmissibilità, svolgimento della quarantena, procedure di contenimento.

Oltre a mantenere i contatti sociali e ridurre il senso di noia e frustrazione con attività strutturate, come riferito in questo articolo, sembra fondamentale incrementare il senso di altruismo della popolazione. Sottolineare che gli sforzi effettuati contribuiscono al benessere e alla salute di tutti i cittadini, specialmente la categorie più deboli, favorisce non solo un senso di utilità ma anche una maggior adesione alle regole.

foto Il Corriere

Cosa pensi della Fase 2? Hai qualche preoccupazione sulle possibili implicazioni psicologiche? Fammi sapere la tua opinione!

 

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Bibliografia:

Brooks et al, The psychological impact of quarantine and how to reduce it: rapid review of the evidence,  Lancet, 2020

Dott.ssa Martina Acerbi Uscire dalla quarantena le lezioni delle precedenti epidemie

Dott. Alvaro Fornasari L’impatto psicologico della quarantena

Psicologia della quarantena

Psicologia della quarantena: come gestire l’ansia

In questi giorni difficili è importante prendersi cura della propria salute, non solo fisica ma anche mentale.

L’ansia e la paura sono emozioni potenti, che hanno un valore biologico adattivo: ci permettono di reagire di fronte ai pericoli, di essere attivati e pronti alla fuga, di essere più attenti. Un certo grado di ansia ci permette quindi di essere più cauti, di rispettare le distanze di sicurezza, di lavarci accuratamente le mani e di seguire tutte le norme indicate dai decreti ministeriali.

Essere in ansia per la salute nostra e dei nostri cari, avere preoccupazioni economiche perché abbiamo dovuto chiudere la nostra attività, aver paura di contrarre il virus se siamo ancora obbligati a lavorare, temere di non riuscire a dare il meglio nelle modalità di smart working, essere agitati per la lontananza dai nostri familiari…  è purtroppo normale. E’ normale essere spaventati, avere momenti di sconforto o difficoltà di concentrazione.

Normale preoccupazione o disturbo d’ansia?

Quando però l’ansia e la preoccupazione raggiungono livelli elevati, ci impediscono quotidianamente di svolgere le nostre attività, non riusciamo mai a concentrarci e i pensieri sono costantemente fissi sul coronavirus, potremmo soffrire di disturbo d’ansia. Se abbiamo già sofferto di problematiche ansiose è possibile che siano state acuite dalla attuale situazione e siano quindi più difficili da gestire. In questi casi potrebbe essere opportuno rivolgersi a un terapeuta che, tramite una consulenza online, possa aiutare a scindere tra sintomatologia ansiosa e “normale preoccupazione” e supportare in questo momento di difficoltà. 

Per avere informazioni sulle consulenze psicologiche online: clicca qui.

Psicologia della quarantena: come passare le giornate

Mantenere le routine

In questo periodo ci ritroviamo senza la cornice delle nostre giornate, senza quegli impegni che scandiscono il tempo e la quotidianità: il lavoro, la scuola, la palestra… Trovarci senza questa cornice può farci sentire persi e provocare ansia e malessere. Per questi motivi è importante cercare di mantenere quelle che sono le nostre routine: alzarci più o meno sempre allo stesso orario, avere pasti regolari, non trascorrere le giornate a letto in pigiama come se fossimo malati (questo periodo non è una piccola pausa dalle nostre esistenze, come accade durante una malattia, è una fase più lunga e va vissuta come tale). Mantenere orari e ritmi regolari aiuta a non modificare il nostro ciclo sonno veglia: ciò potrebbe portare a problematiche del sonno e a conseguenze sul nostro umore.

Impegnati… ma non troppo

E’ importante praticare attività fisica, seguendo tutorial o corsi online, per stimolare il rilascio delle endorfine e aumentare il tono dell’umore. Può essere utile cercare di svolgere attività che abbiamo sempre rimandato o dedicarci a hobbies vecchi e nuovi. Cerchiamo di approfittare delle offerte di intrattenimento che troviamo online e del tempo che abbiamo a disposizione senza però farci prendere dalla smania di dover riempire le giornate, di dover partecipare a ogni diretta instagram, mettersi al pari con tutte le serie tv o pulire ogni angolo della casa: facciamo una selezione delle attività e assecondiamo anche i nostri momenti di noia, cerchiamo di essere comprensivi con noi stessi se ci sentiamo un po’ apatici o di malumore. 

Per alcuni consigli di lettura interessanti, clicca qui.

Relazioni

In questo periodo è ovviamente fondamentale mantenere la socialità. Noi esseri umani siamo sempre in relazione con gli altri e ora questo contatto ci viene a mancare. Cerchiamo di sentire i nostri cari sopratutto con le modalità che permettono di avere un contatto visivo, di sentire il tono della voce e una maggiore vicinanza (videochiamate, telefonate, messaggi vocali) e sfavoriamo le modalità di comunicazione più fredde come chat e mail. In situazioni di difficoltà il desiderio di essere di sostegno ai nostri cari può talvolta essere controproducente. Se ci rendiamo conto di essere sovraccarichi e di provare ansia dopo un certo numero di telefonate, rimandiamole al giorno successivo: se siamo agitati non saremmo né di aiuto a noi stessi né di supporto agli altri.

Informazione

Cerchiamo inoltre di informarci da fonti ufficiali e solo in alcuni momenti della giornata: la ricerca ossessiva di informazioni, bollettini e news può peggiorare la sintomatologia ansiosa e depressiva, aumentando paura e tristezza.

Psicologia della quarantena: cosa fare con i bambini

Per i bambini, forse ancor più che per gli adulti, è importante avere ritmi e abitudini regolari. Cercare di rispettare gli orari di sveglie e addormentamenti, dedicare la mattinata alla scuola e suddividere la giornata nelle varie attività è fondamentale per dare sicurezza e tranquillità ai bambini. Non alterare le normali abitudini è inoltre importantissimo per il ritorno alla normalità: recuperare poi i giusti orari di sonno e studio potrebbe essere molto complicato!!!

Per i genitori che lavorano da casa può essere utile dividersi la gestione dei figli in alcune fasce orarie, per permettere al partner di lavorare in autonomia senza distrazioni. 

I bambini si affidano a noi per riconoscere e definire le situazioni: è importante spiegare quello che sta succedendo (su internet ci sono diversi ausili per spiegare il coronavirus in modo semplice) e mostrarsi tranquilli per infondere loro sicurezza. La maggior parte dei bambini (sopratutto i più piccoli) saranno molto felici di avere tutto questo tempo a disposizione con genitori e fratelli.

Psicologia della quarantena: gli adolescenti

Per quanto riguarda gli adolescenti è fondamentale essere fermi ma comprensivi. I ragazzi potrebbero mostrarsi arrabbiati e voler uscire: in adolescenza risulta particolarmente difficile comprendere i pericoli astratti perchè vengono percepiti come lontani e poco inerenti alla propria persona.

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Bibliografia:

Dott. Alvaro Fornasari, I fattori che influiscono sul benessere psicologico all’inizio del diffondersi di una epidemia

Dott. Giuseppe Iannone La psicologia ai tempi del Coronavirus

Consulenze psicologiche e psicoterapia online

La tecnologia è diventata parte integrante della nostra quotidianità e come tale deve essere presa in considerazione anche in ambito psicologico. Le consulenze psicologiche e la psicoterapia online sono sempre più diffuse e vengono scelte da un numero crescente di persone. La maggiore comodità in situazioni di trasferte lavorative, trasferimenti, assenza di professionisti nella propria città, viene ricercata ormai in modo progressivo.

Il problema è: non cosa possiamo fare noi con gli strumenti tecnici che abbiamo ideato, ma cosa la tecnica può fare per noi. (Umberto Galimberti)

Secondo il Consiglio Nazionale degli Psicologi è possibile effettuare consulenze tramite e-mail, telefonate, chat o videochiamate. Quest’ultima modalità permette il contatto visivo tra paziente e terapeuta e favorisce così un incontro molto più completo e ricco di informazioni verbali e non verbali. Le applicazioni utilizzabili sono moltissime e in continuo aumento, tra le più famose Skype, Hangouts, Facetime, Whatsapp…

Quali sono i vantaggi di una psicoterapia online?

  • In questo periodo dove il rischio di contagio rimane elevato, effettuare sedute online permette di limitare i contatti sociali e quindi consente una maggiore sicurezza e di ridurre le possibilità di contrarre il covid19.
  • Iniziare una consulenza online può essere comodo per chi sta già effettuando una psicoterapia e si trova a dover viaggiare spesso per lavoro o diletto. Il contatto telematico permette di mantenere le sedute con cadenza regolare, alternandole a quelle in studio.
  • Alcune persone sono impossibilitate ad uscire dalla propria abitazione, perché affette da patologie fisiche che ne limitano i movimenti o perché soffrono di qualche problematica psicologica di tipo ansioso, di isolamento (per esempio la sindrome di hikikomori) o altre.
  • In alcuni casi è invece difficile trovare terapeuti nella propria città, a causa delle dimensioni limitate della stessa o della diversa lingua parlata in caso si viva in altre nazioni.
  • Una consulenza online permette inoltre una maggiore flessibilità di orario e un risparmio economico e organizzativo legato all’assenza di spostamenti.
  • Talvolta inoltre la distanza interposta dallo schermo aiuta a diminuire alcune problematiche legate ad ansia e giudizio, permettendo una maggiore apertura sin dai primi colloqui.
  • L’efficacia della psicoterapia online è inoltre comprovata da numerosi studi, come emerge da questo documento dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia.

Quali sono gli svantaggi di una psicoterapia online?

  • Tra gli svantaggi di una consulenza online vi è sicuramente la difficoltà organizzativa in caso si viva con altre persone: non sempre è possibile ritagliarsi la privacy necessaria per effettuare un colloquio.
  • Non tutte le persone sono inoltre adatte a questo tipo di terapia e, come per tutti i percorsi psicologici, ogni caso va valutato a sé.
  • Potrebbe inoltre essere più complessa la gestione burocratica di una terapia online con  ragazzi adolescenti: come in studio, anche in questo caso è necessario il consenso informato firmato da entrambi i genitori. Gli adolescenti, in quanto nativi digitali, sono però spesso più predisposti all’uso di questa tecnologia.
  • Tra i limiti, le difficoltà tecniche e di connessione potrebbero ovviamente inficiare il buon esito della consulenza.

Che servizi offro?

Nonostante nulla possa essere veramente paragonabile all’incontro di persona ritengo, sia per esperienza personale sia grazie alle numerose ricerche in merito, che le videochiamate possano essere uno strumento utilissimo per svolgere terapia. Non effettuo consulenze o percorsi tramite chat o mail: trovo che l’assenza di contatto visivo, l’asincronia e la minor immediatezza di comunicazione siano dei limiti troppo grandi per una terapia.

I servizi di consulenza online che erogo sono conformi alle linee guida espresse dall’Ordine Nazionale degli Psicologi. I dati e le informazioni raccolte sono trattati nel pieno rispetto della normativa sulla privacy Regolamento UE 2016/679, noto come GDPR (General Data Protection Regulation). Condizione necessaria per accedere ai servizi di consulenza online è l’accettazione, tramite firma, del modulo di consenso informato in cui sono presentate informazioni importanti sul servizio offerto, sulle modalità di svolgimento dei colloqui, del pagamento e del trattamento dei dati.

Se vuoi ricevere maggiori informazioni sui colloqui online, contattami a info@bertoncinipsicologa.it o chiamami al 3357251196

Per informazioni su come funzionano i colloqui psicologici Psicologia: istruzioni per l’uso

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Il disturbo ossessivo-compulsivo: cos’è e come si manifesta

Ogni volta che Matteo entra in auto recita mentalmente tutte le parti del motore e controlla più volte, accendendo e spegnendo la macchina, che tutte le spie di sicurezza siano funzionanti, che il livello dell’olio e della benzina siano ottimali, che le ruote siano gonfie. L’intera procedura dura una decina di minuti e Matteo la effettua ogni volta che deve utilizzare l’auto. Matteo soffre di disturbo ossessivo-compulsivo.

È importante distinguere la sofferenza di Matteo dai normali controlli che tutti noi effettuiamo giornalmente: verificare due volte di aver chiuso la macchina può essere considerata una premura eccessiva, certamente non un disturbo ossessivo-compulsivo.

Se Matteo non attua le sue procedure, sta male e non riesce a guidare. Se noi siamo di fretta e ci dimentichiamo di controllare la chiusura della macchina, probabilmente nemmeno ce ne rendiamo conto.

Cos’è il disturbo ossessivo-compulsivo?

Il disturbo ossessivo-compulsivo è infatti caratterizzato da forte ansia e disagio provocati dalla presenza di ossessioni e/o compulsioni.

Le ossessioni sono pensieri, impulsi o immagini ricorrenti e indesiderate; le compulsioni sono comportamenti ripetitivi (lavarsi le mani, riordinare, controllare) o azioni mentali (pregare, contare, ripetere parole) che la persona si sente obbligata a ripetere rigidamente, spesso per cercare di neutralizzare i pensieri ossessivi. Le ossessioni e le compulsioni fanno consumare diverso tempo e causano disagio o limitazioni quotidiane.

Le persone che soffrono di tali disturbi spesso tendono ad avere un forte sistema di valori (morali, religiosi, di comportamento, scientifici) a cui cercano di aderire in modo preciso. Le ossessioni e le compulsioni talvolta conseguono proprio a una mancata corrispondenza tra il proprio set di regole astratte e la realtà. Infatti, alcune delle caratteristiche emotive tipiche di questo disturbo sono il perfezionismo, la scrupolosità e la rigidità.

Matteo per esempio è un neopatentato che ha sempre seguito in modo rigido le norme stradali e di manutenzione dell’auto. In un giorno di pioggia, ha sbandato durante una frenata per evitare un pedone incauto. Da quel giorno ha iniziato a ripensare continuamente all’episodio, ripercorrendo mentalmente ogni suo possibile errore: siccome stava rispettando i limiti di velocità e le distanze di sicurezza ha supposto che la macchina avesse qualche problema tecnico. Ha così iniziato ad effettuare diversi controlli dal meccanico e a monitorare lui stesso le condizioni dell’auto, fino a sviluppare una vera e propria sintomatologia ossessiva-compulsiva.

In questo caso le regole di sicurezza che Matteo seguiva scrupolosamente, non sono state sufficienti ad evitare un incidente: la mancata corrispondenza tra la sua idea (“se seguo le norme stradali non avrò problemi”) e la realtà, ha provocato l’instaurarsi della sofferenza ossessiva-compulsiva.

Un’altra caratteristica emotivo-comportamentale tipica di questi disturbi è l’incertezza: chi ne soffre è spesso attanagliato dal dubbio di agire correttamente, di compiere le scelte giuste e di aderire correttamente al proprio set di valori e norme.

Spesso vi è inoltre una difficoltà a comprendere il contesto e i comportamenti degli altri, proprio perché ogni situazione viene letta alla luce delle proprie credenze.

Come ogni altra sofferenza psicologica, anche questo disturbo va quindi contestualizzato alla luce della storia di vita della persona, per cercare di comprendere l’origine della sofferenza e le sue manifestazioni quotidiane.

 
Bibliografia:

Liccione,  (2019) Psicoterapia cognitiva neuropsicologica, Bollati Boringhieri, Torino.

Noè, Il disturbo ossessivo compulsivo

 

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La fibromialgia

Che cos’è la fibromialgia?

La fibromialgia è una sindrome cronica caratterizzata da dolore muscolo scheletrico diffuso e da specifici punti dolorosi, chiamati tender points. Per la diagnosi di fibromialgia, secondo i criteri dell’American College of Rheumatology (ACR) del 1990, è necessario che sia presente dolore diffuso per almeno tre mesi e vi sia dolore in almeno 11 dei 18 tender points.

Le persone con fibromialgia solitamente hanno una maggiore sensibilità al dolore anche per stimoli innocui o poco intensi e presentano diversi sintomi correlati alla diagnosi come faticabilità, alterazioni del sonno, problematiche gastrointestinali, mal di testa, alterazione del ciclo mestruale

 

 

Le cause della fibromialgia

Tale patologia risulta molto controversa per la difficoltà di diagnosi e per l’eziologia ancora sconosciuta. L’assenza di test specifici per diagnosticare la fibromialgia, la sovrapposizione dei sintomi con altre patologie e la difficoltà di individuazione dei tender points, rendono questa malattia oggetto di discussione tra i medici.

Spesso inoltre la storia clinica dei pazienti fibromialgici appare confusa e poco chiara a causa della cronicità e lunga durata del disturbo e dalla variabilità dei sintomi nel corso del tempo. Possono essere presenti importanti precedenti sintomatologici e spesso i pazienti, nel corso della loro storia di vita, si trovano a rivolgersi a diversi specialisti prima di ricevere la diagnosi corretta.

Sebbene le cause della fibromialgia siano ancora sconosciute, spesso emergerebbe in corrispondenza di specifici eventi fisici o emotivi (traumi, problemi familiari, stati emotivi alterati, stress) e sembrerebbe essere presente un disturbo della percezione dolorosa del sistema nervoso centrale che porterebbe a una errata interpretazione degli stimoli dolorosi da parte del paziente.

Diffusione

La prevalenza della fibromialgia sembra essere compresa tra lo 0,2% e il 6,6% della popolazione, con una diffusione maggiore nella popolazione femminile e nelle aree urbane rispetto a quelle rurali.

Fibromialgia, emozioni e cura

Svariati studi psicologici sul malato fibromialgico hanno evidenziato come spesso siano presenti anche ansia e depressione, senza mai chiarire però, se tali patologie ne fossero la causa o il risultato.

In uno studio del 2008 condotto da Sisti, viene sottolineata la minore capacità di sopportare lo stress dei pazienti fibromialgici rispetto a pazienti sani o affetti da altre sindromi: i pazienti con fibromialgia sembrano attribuire maggiore importanza a eventi di vita quali cambiamenti, difficoltà nelle relazioni affettive o gestione del dolore. Sembra inoltre che l’accumularsi di stress psico-fisici possa essere un evento scatenante per l’insorgenza della patologia.

Per questi motivi sembra che la terapia cognitivo comportamentale, migliorando la sensazione di controllo sulla propria vita, il proprio senso di autoefficacia e le capacità di coping, abbia risultati positivi nel trattamento di questa patologia (Karllson, 2015).

La cura per la fibromialgia prevede l’utilizzo di farmaci miorilassanti, antidepressivi o antiepilettici. Un approccio multidisciplinare che combini terapia farmacologica e psicologica a interventi di tipo educativo, fisico, alimentare, sembra essere la migliore strategia per la cura di questa patologia così complessa.

Bibliografia

Goldenberg, Management of Fibromyalgia Syndrome, American Medical Association , 2004

Karlsson et al, Cognitive behaviour therapy in women with fibromyalgia: A randomized clinical trial, Scandinavian Journal of Pain , 2015

Valeria Noè, Vivere con il dolore: la fibromialgia

Sitsi, Venditti, Saracco, Influenza dello stress nella fibromialgia, Reumatismo, 2008; 60(4):274-281

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Psicologia: istruzioni per l’uso

Il mio articolo è stato pubblicato anche su Yahoo Italia News.

Psicologia: istruzioni per l’uso

 
Psicologo, psicologia, colloqui, disturbi mentali, farmaci…

Spesso ci sono numerosi dubbi su queste tematiche, accompagnati talvolta da pregiudizi e paure.

Oggi cercheremo di fare un po’ di chiarezza su questo mondo così complesso e affascinante.

  • Quando andare dallo psicologo?

Uno dei pregiudizi più diffusi sulla professione dello psicologo è che ci vadano “solo i matti”. Ovviamente le cose non sono così: lo psicologo può aiutare sia in casi di patologie clinicamente significative sia nei momenti di cambiamento o stress che tutti noi ci troviamo quotidianamente ad affrontare. Talvolta infatti, problematiche lavorative, relazionali, di salute o famigliari possono essere difficili da gestire in autonomia e può essere necessario rivolgersi a uno psicologo che aiuti a ritrovare stabilità e benessere.

  • Perchè andare dallo psicologo? Posso farcela da solo!

Un’altra delle idee più comuni è che rivolgersi allo psicologo sia sintomo di debolezza e scarsa forza di volontà. Cercare di risolvere i propri problemi in autonomia è importante e salutare ma, se questo non è possibile (perchè le problematiche da affrontare sono molto grandi o perchè ci si trova in un momento esistenziale complesso) è un atto di grande maturità e forza rendersi conto di avere bisogno di aiuto e rivolgersi a un professionista.

  • Non voglio che qualcuno mi dica cosa devo fare

Il compito dello psicologo non è indirizzare il paziente verso una scelta di vita piuttosto che un’altra, ma aiutarlo a capire l’origine della sua sofferenza e come agire per ritrovare serenità e stabilità.

É importante inoltre evidenziare come il Codice Deontologico degli Psicologi sottolinei proprio il rispetto dell’autonomia del paziente:

Lo psicologo rispetta l’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori e non usa in modo inappropriato la sua influenza.”

  • Quanto dura e come si svolge un colloquio?

Ogni incontro ha una durata di circa 50-60 minuti. 

Durante il primo colloquio vengono raccolte le informazioni generali sul contesto di vita della persona (dove vive, con chi, lavoro/studio, relazioni affettive e familiari) e sulla situazione che ha portato alla richiesta dell’appuntamento. Successivamente si cercherà di comprendere sia la storia di vita precedente sia come si svolge la quotidianità, al fine di individuare i momenti di difficoltà attuali e pregressi, la loro origine, le motivazioni e le possibili modalità di gestione.

  • Con quale frequenza si svolgono le sedute?

La frequenza dei colloqui dipende dalla tipologia e dalla gravità dei sintomi, dalla disponibilità del paziente e dalla fase del percorso. Solitamente all’inizio del percorso terapeutico gli incontri avvengono con cadenza settimanale o quindicinale.

  • Quanto dura una terapia?

La durata del percorso psicologico dipende da numerosi fattori soggettivi e, per questo, è difficilmente prevedibile. Le modalità e i tempi degli incontri sono sempre concordati con il paziente che può in qualsiasi momento scegliere di interrompere il percorso terapeutico.

 

  • Lo psicologo può prescrivere farmaci?

No: lo psicologo, così come lo psicoterapeuta, non è un medico e pertanto non può prescrivere farmaci. In caso di necessità (sempre in accordo con il paziente) è possibile che lo psicologo collabori con uno psichiatra, che è il professionista più indicato per la somministrazione di psicofarmaci.

  • È possibile detrarre dalle tasse le spese delle prestazioni psicologiche?

Si: i colloqui psicologici sono prestazioni di tipo sanitario e per questo detraibili in sede di dichiarazione dei redditi ed esenti IVA.

Dal 2016 gli psicologi sono tenuti a notificare all’Agenzia delle Entrate le spese sostenute dai loro clienti, a meno che questi non si oppongano espressamente all’invio dei dati inerenti alle loro fatture. 

  • Come sono trattati i dati personali?

Ogni dato sensibile viene trattato nel rispetto della privacy. Nessuna informazione viene trasmessa a terzi in mancanza del consenso dell’interessato.

Durante il primo colloquio viene fornito un modulo per l’autorizzazione al trattamento dei dati personali e di consenso informato.

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Sitografia:

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Disturbo da gioco d’azzardo: cos’è e come mai è così diffuso?

132 euro al mese.

Uomini, donne, bambini, anziani.

È come se ogni cittadino italiano nel 2016 avesse speso 132 euro al mese nel gioco d’azzardo. *

Che cos’è il gioco d’azzardo?

Dai primi anni ’80 il disturbo da gioco d’azzardo è stato inserito nei manuali di classificazione dei disturbi mentali. Oggi viene considerato come un insieme di comportamenti persistenti legati al gioco d’azzardo che provoca disagio o difficoltà sociali, lavorative, economiche e relazionali. Tra le caratteristiche tipiche vi sono: ripetuti tentativi di interrompere o diminuire il gioco, pensieri e preoccupazioni circa le successive giocate, menzogne per nascondere l’entità della problematica, umore irritabile ed irrequieto quando non si gioca. Il comportamento viene spesso messo in atto in momenti di disagio, ansia, depressione o difficoltà.

Diffusione in Italia

In Italia nel 2016 sono stati spesi 96 miliardi di euro al gioco: come se ogni cittadino italiano avesse speso ben 132 euro al mese (196 euro al mese se si considerano solo i contribuenti).

Nel nostro paese l’utilizzo di macchinette o slot machine rappresenta il 51% del gioco d’azzardo complessivo*.

Come mai le slot machine sono così diffuse?

Numerosi studi sottolineano come il gioco d’azzardo attivi il sistema simpatico (aumento della frequenza cardiaca e della pressione, contrazione dei muscoli, sudorazione) e abbia una funzione eccitante ed attivante.

Tuttavia è interessante notare come giocare alle slot machine favorisca un senso di de-attivazione e straniamento dalla realtà (esperienza simile a quella che possiamo provare tutti noi quando ci isoliamo con il cellulare in momenti di noia o imbarazzo). Quando la dipendenza è già sviluppata viene fortemente ricercato questo senso di distacco dalla realtà, dai problemi e dalle preoccupazioni ed è come se la vincita in denaro non fosse più lo scopo finale: è infatti comune vedere persone che dopo aver vinto non abbandonano la sala ma continuano a giocare fino alla completa perdita del jackpot.

Il senso di estraniamento provato durante le giocate è spesso favorito dagli ambienti in cui sono collocate le macchinette (sale slot, casinò): viene eliminato ogni riferimento al tempo che passa grazie all’assenza di finestre e orologi e utilizzando un’illuminazione artificiale; i locali sono spesso raccolti, con luci soffuse e soffitti bassi; c’è la possibilità di fumare all’interno, di utilizzare carte di credito e di ordinare bevande o cibi, così da evitare ogni necessità di uscire.

La diffusione sempre maggiore di gioco online, con grafiche e suoni simili a videogiochi e l’utilizzo di denaro virtuale (carte di credito), rende ancora più facile il senso di estraniamento e la possibilità che anche i più giovani si avvicinino al gioco d’azzardo.

Gioca responsabilmente

Le società che si occupano di gioco d’azzardo sono solite sottolineare la necessità di “giocare responsabilmente” per tutelarsi ed evidenziare la loro sensibilità a tale problematica. Con questa frase però è come se non si assumessero nessuna responsabilità, scaricandola completamente sul singolo. Così facendo non considerano che il gioco d’azzardo è una vera e propria dipendenza e, come tale, influisce sulla libertà di scelta, sulla consapevolezza e sulle capacità decisionali dell’individuo.

È come se sui pacchetti di sigarette, dal tabaccaio o nella sala fumatori di un locale trovassimo un invito a “fumare responsabilmente”…inverosimile, no?

 

Cosa scatena la dipendenza?

Le situazioni scatenanti per lo sviluppo di una qualsiasi dipendenza (gioco d’azzardo, sigarette, alcol, droghe, cibo, internet, sessuale…) e le relative caratteristiche emotive sono strettamente connesse alla storia del paziente: per questo motivo il racconto dell’esperienza in prima persona diventa fondamentale per la comprensione della sofferenza e della sintomatologia.

Il contesto emotivo in cui solitamente emergono tali dipendenze è caratterizzato da senso di vuoto, solitudine, ansia, eccessiva autocritica o situazioni di disconferma di sé.

Le condotte che caratterizzano le varie dipendenze (in questo caso giocare d’azzardo) vengono così messe in atto per superare queste situazioni negative attraverso una forte eccitazione (attivazione viscerale) o uno straniamento dalla propria realtà problematica.

Se anche tu hai avuto problemi di dipendenza o conosci qualcuno che sta attraversando un periodo difficile con il gioco d’azzardo, lascia la tua esperienza nel form qui sotto o contattami a info@bertoncinipsicologa.it o al 3357251196

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Bibliografia:

*dati ricavati da “Lose for life (progetto culturale di Avviso pubblico realizzato con Altraeconomia e Università di Pisa), dati ufficiali.

Arciero, Bondolfi (2012), “Sè, identità e stili di personalità”, Bollati Boringhieri

Esposito M. (2014). “Gioco d’azzardo: qual è la vera posta? Tecnologie che creano dipendenze”, Aggiornamenti Sociali.